Risguardo di copertina
"romanzo ottocentesco" dice il sottotitolo, e si tratta di una precisazione necessaria. innanzi tutto per definire il genere, ossia la modalità d'uso di questo libro: che narra la vita di un personaggio realmente esistito, il trentino antonio salvotti, ricordato dalle enciclopedie (ma non ancora da wikipedia) come il magistrato asburgico che condusse le istruttorie contro i carbonari e i patrioti italiani, inclusi confalonieri, maroncelli, pellico. la documentazione è molto ampia e attenta, frutto di lunghe ricerche di prima mano in archivio: atti processuali, memorie, corrispondenze, rapporti di polizia. tuttavia non si tratta di un saggio: la scrittura è fluida, intrattenente, e continue sono le descrizioni d'ambiente ("il fuoco langue nel camino. antonio si alza, aggiunge un ciocco, smuove la brace con l'attizzatoio") e introspettive o psicologiche ("davanti agli occhi stanchi, brucianti, gli danzano insopportabili le immagini della nanni nelle braccia di altri uomini, la sua naturale eleganza scomposta in pose sguaiate"), passi che ovviamente non ci dicono ciò che davvero accadde bensì ciò che avrebbe potuto accadere. un romanzo storico, dunque, o una biografia romanzata; accattivante, come ho detto: forse non per tutti ma per chi in una narrazione più che un'evasione dalla realtà ne cerchi la reinterpretazione, e di certo per chi abbia il gusto del dettaglio storicamente preciso, della ricostruzione attendibile e minuziosa di un'epoca, delle sue abitudini, della sua mentalità. in questo senso nel sottotitolo è utile l'aggettivo "ottocentesco": in riferimento alla materia trattata (salvotti visse dal 1789 al 1866, ossia dall'anno della presa della bastiglia a quello della terza guerra d'indipendenza e dell'annessione del veneto all'italia) ma anche allo stile e alla struttura narrativa. lo si può notare nelle frasi che ho riportato poco sopra e già nel prologo: "nebbia densa, opaca, trasudata dai canali, pesante su queste pianure palustri. a tratti sagome nere sbucano frettolose dall'indistinto, dileguano verso un barlume fioco". troppi aggettivi, troppi termini letterari, mi ero detto iniziando la lettura. mi sono poi ricreduto: è una scelta deliberata ed efficace, coerente con l'intenzione di scrivere un romanzo che ammiccasse appunto a quelli ottocenteschi, alla prosa di de amicis o guerrazzi o pellico, senza peraltro tentare di parafrasarli o parodiarli. garavini ci consente insomma una full immersion nel nostro risorgimento. quello vero, però, non quello che ci hanno insegnato a scuola. i grandi eroi dell'indipendenza italiana ne escono ridimensionati, quasi tutti: rivoluzionari dilettanti e viziati, imbevuti di idee astratte e neppure ben comprese e di ambizioni corroborate soltanto dalla loro arrogante superficialità, confusionari, immediatamente succubi dell'autorità, pronti a ritrattare, a pentirsi, a tradire, ma anche questo senza grandezza. sventurata la terra che ha bisogno di eroi, dice il galileo di brecht; ma più sventurata la terra che bisogno di questi eroi. in nome dell'imperatore è un interessante contributo alla loro dissacrazione. peccato che l'autrice dimostri più condiscendenza verso il mito della felix austria: a uno che come me vive nell'america di bush sembra pericolosa la teoria che una dominazione straniera ma efficiente, abbastanza onesta e sostanzialmente equa sia preferibile a un governo incapace, autoritario e corrotto e però autonomo.
Risguardo di copertina
il mistero circonda françois de nomé, detto monsù desiderio, uno straordinario pittore del seicento. ben poco si sa di lui: nato a metz, in lorena, visse in italia, tra roma e napoli. dipinse architetture fantastiche squassate da silenziosi cataclismi, abitate da statue spettrali che sembrano muoversi come figure viventi. scenari da incubo, sogni pietrificati, il gran teatro della morte e della notte. su questi quadri densi di ambigue valenze fausta garavini costruisce il romanzo di monsù desiderio, disegnandone una possibile biografia. la difficile infanzia lorenese, poi l'adolescenza a roma, dove impara la pittura, incrocia gli artisti del momento e partecipa alla variopinta e tumultuosa vita della città: conosce la corruzione della corte papale, il sesso, i bassifondi, le feste, i soprusi contro gli ebrei, le prediche infuocate dei frati contro le forze demoniache, ma orecchia anche i segreti che filtrano dai circoli ermetici in cui si riuniscono i seguaci di bruno e campanella. in questo clima eterogeneo e straniante s'insinua in lui la fascinazione per le antiche rovine, simbolo di una sofferta inclinazione a registrare i crolli interiori, il senso della vanità del tutto. ventenne, si sposta a napoli e altre esperienze lo segnano: l'amore per isabella, l'incontro con lo scienziato, astrologo e "mago" giambattista della porta, la miseria del popolo, le crudeltà del governo spagnolo.