Risguardo di copertina
il percorso non solo geografico di un autore che amò profondamente l’italia. la difficoltà dello scrivere, i piaceri della tavola, ma soprattutto il contraddittorio sentimento di orgoglio e ripulsa per la propria opera. un autoritratto dell’uomo: i suoi legami, il suo ambiente e la sua mania religiosa.
Risguardo di copertina
così scrive nel suo diario il consigliere titolare popriscin, funzionario di rango non elevato ma di grandi ambizioni, roso dal senso di inferiorità, dall’invidia verso più altolocati colleghi al servizio dello stato, che ritiene un privilegio l’incarico di temperare, una volta alla settimana, le penne d’oca di un superiore della cui figlia è segretamente innamorato. nelle pagine che accolgono le sue frustrazioni e i suoi sogni di gloria si insinuano le sempre più assurde fantasie che lo abitano: mucche che comprano il tè, il carteggio tra due cagnoline dal quale apprende che la giovane amata andrà in sposa a un altro. lo sdegno e un’impotente rabbia lo precipitano definitivamente nella follia («burocratica» questa, priva del demoniaco romanticismo che caratterizza l’insania del pittore nel ritratto, un altro dei «racconti pietroburghesi» di gogol’). persa del tutto la ragione – ora si crede ferdinando viii, re di spagna –, poprišcin viene rinchiuso in un manicomio, dove si occupa degli «affari di stato» e si angoscia per la sorte della luna. dinanzi al suo delirio, alle grida strazianti per le «cure» brutali che gli vengono inflitte, anche a noi non resta che ripetere, come poprišcin: «vabbè, vabbè, silenzio!». un silenzio che verrà riempito dalla voce stridula e penetrante dell’uomo del sottosuolo di dostoevskij.