Risguardo di copertina
in tutto l'occidente, i primi vent'anni del xxi secolo sono stati segnati da una serie di movimenti di protesta e manifestazioni di frustrazione collettiva: dal movimento no-global d'inizio anni 2000 a quello no-vax durante la pandemia di covid-19, passando per il «vaffanculo-day» di beppe grillo, gli indignados spagnoli, occupy wall street, il voto per la brexit, l'elezione di donald trump, i gilets jaunes francesi e le proteste legate a #metoo e #blacklivesmatter. ciascuno di questi eventi ha ovviamente una storia particolare, ma c'è anche un filo rosso che li unisce: la rabbia nei confronti delle istituzioni. nonostante la frenesia attivistica, queste mobilitazioni si sono rivelate, nella maggior parte dei casi, prive di finalità concrete, mentre è stata evidente la loro dimensione spettacolare e dimostrativa, volta a esprimere una condizione di risentimento diffuso nei confronti dell'ordine costituito, secondo una logica che tende a dividere la società in «amici» e «nemici», «buoni» e «cattivi». ma come si spiega questa animosità crescente, dati i livelli di benessere materiale e di diritti acquisiti storicamente senza precedenti? ridurre la rabbia odierna a un'espressione di emotività irrazionale o all'ignoranza delle masse, avverte carlo invernizzi-accetti, è un errore. per uscire dal vortice in cui siamo caduti è necessario comprenderne le ragioni.