Risguardo di copertina
non è amabilmente consolatore, il mondo di landolfi, né amichevole, né tantomeno compiacente. estraneo, piuttosto, luminosamente torbido e degradato. e, come in questa raccolta di racconti del 1975 – l'ultima sua –, più che mai urtante, percorso com'è da un eros luttuoso e sogghignante, da orride agnizioni, da avvilenti confessioni, da personaggi oltraggiati dalla vita, feriti dall'«invalicabile stridore» che li separa dagli altri, torturati da un'animale e irrimediabile tristezza. sicché ogni racconto cela una sorpresa che ha su di noi lo stesso effetto di «un'unghia che stride contro un vetro, o d'una carezza contropelo» (i. calvino): ci fa rabbrividire, e subito vorremmo scacciarla. invano: incapsulata in una lingua tanto inconsueta quanto secca, lucida ed esatta, ogni immagine torna a riaffacciarsi, come una piccola testa malevola. il fatto è che per landolfi, uccisa ogni speranza, dobbiamo accontentarci «di gioie ambigue, torte e per giunta fuggevoli». non c'è altra via di scampo, se non, estremo rimedio, un «genosuicidio» capace di liberarci da una «abominosa storia».