Risguardo di copertina
li chiamano delitti passionali, raptus, incidenti. chi li ha compiuti racconta che ha perso la testa, che è stato un attimo, che amava la donna che ha ucciso. non è vero. il numero di donne uccise dagli uomini ogni anno in questo paese parla chiaro: per quanto si cerchi ancora di rubricarli come casi singoli di follia circoscritta, i femminicidi appaiono sempre più chiaramente come un fenomeno culturale. in questo processo di minimizzazione le parole che usiamo per raccontare gli uomini, le donne e le loro relazioni hanno un peso enorme e ancora troppo poco considerato da chi pratica la parola pubblica e ha la responsabilità di renderne conto. così negli ultimi anni è accaduto che si siano mobilitate associazioni contro la pubblicità sessista, che le donne si siano organizzate anche in piazza per chiedere maggiore rispetto dalle istituzioni e che si sia alzata la voce per pretendere maggiori investimenti verso i centri di accoglienza e supporto contro la violenza. ma in questo moto evidente di sensibilizzazione è accaduto anche che i professionisti della parola – giornalisti e giornaliste, professionisti televisivi e opinionisti a tutti i livelli mediatici – poche volte abbiano sentito altrettanto forte il desiderio di riflettere sul linguaggio che racconta la relazione tra i sessi e sulle sue conseguenze. questo libro vuole smontare i luoghi comuni più pervicaci a proposito del femminicidio. partire dalle parole per rileggere e decostruire l’immaginario. perché le parole cambino e magari cambino, soprattutto, i fatti.