Risguardo di copertina
sarajevo, 1992. ogni notte bande di ultranazionalisti con la faccia coperta da calze nere trascinano in strada i mobili presi dalle case abbandonate ed erigono barricate che tagliano la città in enclave etniche. ogni mattina, gli abitanti: musulmani, croati, serbi, rimuovono quelle barriere e affrontano la giornata fingendo di non vedere ciò che si addensa all’orizzonte. tuttavia, inevitabilmente, arriva il giorno in cui la tragedia che incombe sulla città non può più essere ignorata, e zora kocovic, pittrice e insegnante, decide che è giunto il momento di mandare suo marito e l’anziana madre fuori dal paese, al sicuro. lei, invece, non lascerà sarajevo, il suo studio sotto i tetti della vijecnica, i ragazzi che si aggrappano ai suoi corsi di arte come all’ultimo brandello di normalità, i suoi quadri che raffigurano i tanti ponti, simbolo della città della convivenza. le ostilità non potranno durare più di qualche settimana, la tempesta passerà. ma la tempesta non passa e l’assedio chiude sarajevo in una morsa. i suoi abitanti rimangono senza comunicazioni, senza luce, senz’acqua, senza medicine: dalle colline attorno la città viene bombardata, spazzata dai cecchini, martoriata. muoiono a migliaia; le lapidi, bianche, sottili, riempiono ogni angolo, prato, cortile. spariscono giorno dopo giorno gli alberi e gli uccelli. nel palazzo squarciato dalle esplosioni in cui zora vive ormai sola, si è formata una vera e propria comunità di fratelli e sorelle d’anima che si appoggiano gli uni agli altri, affrontano insieme il loro mondo che si sta disintegrando, si reinventano di nuovo e poi ancora, nel tentativo di non perdere la propria umanità. tutto ciò che zora e i suoi amici hanno di più caro viene distrutto, esposto allo scempio dalla crescente violenza degli assalitori: al posto delle rondini nel cielo di sarajevo volteggia la cenere, uno sciame di farfalle nere. eppure, dopo che si è perso tutto, lì, può esserci ancora straordinaria bellezza.